ROMA. 19. DIC. Diciamolo subito. ” Mon Roi “ è davvero un ottimo film. Film dal taglio moderno, per quanto mantenga una regia autoriale, non tradendo mai la salda tradizione cineasta francese. La regista è ancora lei, Maiwenn Le Besco ( Les Lilas, 17 apr.1976 ), attrice e regista – figlia dell’attrice franco algerina Catherine Belkhodja – la quale nel 2011 ci aveva letteralmente folgorato con la dura eccellente pellicola ” Polisse “.
L’accusano insieme alla sua fedele collaboratrice Emmanuelle Bercot, ( Parigi, 6 nov. 1966 ) qui vincitrice del Premio come Miglior Interpretazione Femminile/ Cannes 2015, d’essere autobiografica. Ma non importa, Anzi, è un’ottima posizione. Perché un regista autore è tale solo se racconta ciò che ha nel cuore.
Stavolta non si parla della sofferenza psicologica della Polizia Minorile, sebbene la pellicola non si astenga dal presentare una terapia familiare con minore, bensì di un amore dipendente. Di uno di quegli amori che si regge sopra una chimica insolubile attrazione fisica, ma che in fondo manca d’intesa spirituale ed emotiva. Nessuna violenza fisica ( o meglio un lieve accenno )da parte di lui, interpretato dal carismatico Vincent Cassel ( Parigi, 23 nov.1966 ), ma un costante prevaricare dal punto di vista psicologico e delle idee. La minaccia del maltrattamento ci ammonisce severa. Anzi, forse temiamo per tutta la stesura del film che prenda forma. Non la prende.
Eppure l’affascinante Emmanuelle Bercot che qui interpreta il ruolo di un Avvocato, Marie – Antoinette Jézéquel, detta Tony, sebbene esclusivamente alla fine del film sia ripresa nello svolgere la propria professione, una notte trascorsa in un locale si innamora del bel Georgio che conosceva già quando un decennio prima, lavorando come cameriera in un pub, lo osservava ” incantata ” passare da una conquista all’altra.
Stavolta Georgio si innamora di colpo di Tony. La sposa. Vuole un figlio da lei. Lo vuole soprattutto per il suo ego di ” maschio “, il ” re degli stronzi “, come lui stesso si definisce da cui il titolo della pellicola. Proprio durante la gravidanza, dal momento che Tony accusa una certa depressione pre partum, lui comincia a trascurararla, a tradirla con la fragile ex fidanzata Agnès, ad attuare ” altro ” rispetto a lei ed al bambino che porta in grembo. La situazione conoscerà un climax drammatico.
La struttura filmica è interessante perché la pellicola esordisce quando Tony è già separata da Georgio ed il figlio ha quasi sette anni. Ma ancora turbata, durante una vacanza in montagna, mentre scia, un terribile incidente la condurrà in un noto Centro di Riabilitazione delle Articolazioni, al fine di riabilitare il suo ginocchio destro compromesso dalla caduta. Da qui il film si svolge tutto in flash-back fino alla ” guarigione “.
Interessante spunto di riflessione è il dialogo iniziale che intercorre tra Tony ed un’operatrice del Centro che le fa notare il significato simbolico di un incidente al ginocchio. Che un danno al ginocchio, dal momento che le articolazioni per loro natura piegandosi vanno meccanicamente avanti ed indietro, possa rappresentare un monito od ad effettuare un passo indietro o forse più auspicabilmente a congelare una situazione conflittualmente dolorosa.
Il Film si chiude con una Tony divorziata, ancora ” zoppicante” che ha messo in atto i suggerimenti dello psicologo infantile e dell’insegnante elementare, ma che guardando l’ex marito Georgio durante un colloquio genitoriale condiviso, lo osserva ammaliata ed il suo sguardo ( eccellente Bercot! ) tradisce ancora amore, attrazione e l’incapacità di disgiungersi del tutto da lui.
Probabilmente degli strascichi sono connaturati a qualsiasi relazione interrotta. Tuttavia cosa è veramente giusto? Riparare per restare o sanare per affrancarsi e vivere finalmente in un contesto relazionale che non ci calpesti ed edifichi entrambi?
Allo spettatore più critico la risposta.
Romina De Simone