ROMA. 7 OTT. Sarà DARLING ad aprire il 9 ottobre (fino al 12) la stagione del Teatro Eliseo a Roma.
Una produzione Romaeuropa Festival e Snaporazverein in coproduzione con CSS Teatro stabile di innovazione del FVG e Festival delle Colline Torinesi con la collaborazione di Biennale Venezia.
La drammaturgia è firmata Ricci/Forte con Anna Gualdo, Giuseppe Sratori, Fabio Gomiero, Gabriel Da Costa regia di Stefano Ricci.
Non tutti conoscono il teatro feroce di Ricci/Forte per questo è meglio dare qualche ragguaglio al pubblico. Il più delle volte agli spettacoli della compagnia si sono verificati svenimenti e malori tra il pubblico a causa di quello che Stefano Ricci e Gianni Forte, la coppia più discussa del teatro di ricerca italiano, mette in scena: violenze fisiche e psicologiche, consumismi compulsivi, solitudini corali e sessualità disperate.
In Darling partendo da una suggestione eschilea, il duo romano presenta la crisi dell’utopia democratica, espressione forse mai realmente compiuta del logos occidentale. Il disfacimento progressivo della democrazia così come la conosciamo lascia dietro di sé relitti e fantasmi.
Il grande container al centro della scena di Darling è un monolite contemporaneo che incarna il luogo di arrivo della crisi, vissuto da profughi che abitano la costruzione di un nuovo Stato e di una nuova Legge, dopo lo tsunami che tutto travolge. Con una forma estetica rude e violenta, ma mai compiaciuta, il testo della compagnia ricci/forte trasporta il riferimento colto all’Orestiade sul piano di una scrittura pop che, in modo irruento, porta sulla scena i simboli della deriva dell’uomo contemporaneo, nella malinconica speranza che diventi costruttore di una nuova polis sulle macerie del passato.
“Il teatro è un fatto decisamente politico, – afferma la coppia Ricci/ Forte- non è possibile pensarlo altrimenti. Abbiamo una forte connotazione estetica, questo non significa che non vogliamo scardinare certi sistemi. La finzione è qualcosa di terribilmente stucchevole e inappropriata per fare teatro, e gli attori sono spesso la cartina di tornasole di un paese allo sfascio. Molti scelgono di fare questo lavoro per poter essere chiunque altro da sé. Il nostro lavoro è svelarli anche a loro stessi. È la capacità di usare questa verità e questo bagaglio, questa Atlantide che ognuno si porta dentro a dare peso a quello che si vuole raccontare. Quello che chiediamo ai nostri ragazzi è enorme: fare i conti con il proprio vissuto personale e portarlo in scena. Tirare fuori la loro vita e renderla senza filtri. È dura, ma alla fine del viaggio risplendono, perché scoprono il loro mantello da supereroe». Francesca Camponero