GENOVA. 17 SET. Interpretare gli eventi non equivale a stabilirne il vero significato, non di rado ben distante da ogni possibile e singola mentalizzazione.
Cosa ovvia, visto che ogni interpretazione risente dell’elemento soggettivo del giudizio e che ogni singolo commento rappresenta solo l’angolatura di una multifocalità di pensiero.
Sia come sia, tutto diviene, a prescindere da ogni possibile considerazione. Nulla resta uguale a sé stesso, pur conservandone indole, natura, essenza.
Così, le forze della Natura, incontrollabili e primordiali, hanno sorpreso e spaventato fin dalle origini dell’Umanità ed ancora sorprendono ed intimoriscono l’uomo contemporaneo, facendo percepire al massimo grado la sua inerme condizione.
E manifestano con drammatica limpidezza, a chi ha occhi per vedere, il limite e la precarietà della nostra specie, la sua effimera e distruttiva presenza sul Pianeta.
Non resta che prendere atto, senza alcuna riserva, che l’uomo mai é stato e mai sarà il padrone di alcunché, né di sé stesso né tantomeno della Terra, sebbene insensatamente pare considerarsi tale, dandone esiti altrettanto insensati ed autolesivi.
Premesso ciò, evito accuratamente il percorso minato delle “probabilità” ed il pentagramma di emozioni che promana dalla atavica paura di ciò che non si conosce e non si vede: di ciò che è avvolto nel buio, precluso ad una immediata contemplazione e comprensione.
L’inusitata e reciproca aggressività esercitata dall’uomo sull’uomo (cit. Hobbes) ed il dominio senza costrutto su ogni specie vivente, di matrice prettamente mercantile-economica, non hanno riverberato nel tempo, com’era prevedibile, un contesto sufficientemente evoluto e qualitativo di vita. Contesto che non ha introdotto né garantito rispetto e cura per il mondo di cui facciamo parte e di cui subiamo e subiremo i colpi e i contraccolpi.
La natura è una “entità” in perenne irrequieto sommovimento (mi si conceda l’avventato concetto). Un inesorabile dinamismo avviluppa ogni cosa a sé; coinvolge e conforma tutto e tutti alle proprie immutabili, sovraordinate, naturali regole.
D’altronde, “gli oggetti fisici sono veri aggregati di qualità in continuo movimento”, così come “ ciascun individuo altro non è che un insieme di sensazioni distinte continuamente mutevoli” (cit. Platone).
Tale dinamismo offre sempre spettacolo e memoria di sé. Nel silenzio di un cielo stellato, nello spazio infinitesimo in cui deflagra la nostra misera idea del tempo, nell’infinità riassunta in un impercettibile istante.
E proprio in quell’istante impercettibile, inconsapevolmente, tutto cambia. E da lì, ogni volta, tutto ricomincia.
Massimiliano Barbin Bertorelli